Rileggere “How children learn” di John Holt: gioie e dolori

Di Peter Grey. Ph.D.
Traduzione: Michela Orazzini

Ecco un sunto delle grandi idee di John Holt sull’apprendimento dei bambini.

In un sondaggio condotto da Gina Riley e da me qualche anno fa, chiedemmo a famiglie che praticavano l’unschooling (apprendimento libero in istruzione parentale – NDT) di citare quegli scrittori i cui testi li avevano influenzati di più nella scelta del loro percorso educativo. John Holt risultò di gran lunga il più citato da più di metà delle 232 famiglie che parteciparono al sondaggio (link al sondaggio nell’originale qui e qui ). Holt è morto prematuramente di cancro nel 1985, a soli 62 anni. Tuttavia, continua ancora ad esercitare una notevole influenza.

Il mio collega Pat Farenga, che ha gestito l’eredità di Holt sin dalla sua morte, ha curato di recente la pubblicazione dell’edizione del cinquantesimo anniversario di quello che dal mio punto di vista è il libro più significativo scritto da Holt, How Children Learn (da Capo Press, 2017) – (Come apprendono i bambini )-. Lessi la prima edizione decenni fa, senza apprezzarlo appieno, prima di intraprendere le mie ricerche personali sull’apprendimento dei bambini.

Rileggere il libro ora mi ha portato più volte a
pensare: Quanto è vero! Quanto è geniale!
Quanto è triste!

Rileggere il libro ora mi ha portato più volte a pensare: Quanto è vero! Quanto è geniale! Quanto è triste! Triste perché i fatti veri e le intuizioni geniali sono compresi ancora solo da una piccola percentuale della popolazione, e le scuole oggi sono persino peggiori di quanto non fossero quando Holt era vivo. Generano un’ansia addirittura maggiore, dilapidano ancor di più il tempo dei bambini e dei ragazzi, insultano ancor di più la loro intelligenza e sono ancora più dannose per l’apprendimento profondo e la comprensione.

Ma nonostante questo, sono ottimista, come credo lo sarebbe Holt se fosse vivo oggi, perché nonostante la percentuale di coloro che capiscono che i bambini imparano meglio se hanno il permesso di esercitare un controllo sul proprio apprendimento resti piccola, è tuttavia una percentuale in crescita. Si riflette nel numero sempre crescente di famiglie che scelgono di togliere i propri figli dalle scuole tradizionali per consentir loro di vivere un’esperienza educativa e formativa autogestita o qualcosa di molto simile. Un numero sempre crescente di genitori osserva la luce dell’intelligenza dei propri figli e sceglie di farla brillare.

Un numero sempre crescente di genitori osserva la luce dell’intelligenza dei propri figli
e sceglie di farla brillare.

Alla fine, io credo, si raggiungerà un momento critico in cui il tasso di abbandono scolastico subirà un’impennata. Dopodiché, quella che ora definiamo scuola, il sistema standard di educazione, morirà per irrilevanza, sostituita da centri progettati per ottimizzare i modi naturali di apprendimento nei bambini (leggete qui oppure qui).

Alcune idee di Holt sull’apprendimento dei bambini

Holt era un osservatore astuto e brillante; se avesse studiato alcune specie di animali, anziché i bambini, sarebbe stato definito un naturalista. Osservó i bambini nella loro condizione libera e naturale, oserei dire selvaggia, nella quale non erano controllati da un insegnante in classe o da un ricercatore sperimentale in un laboratorio. Si tratta di qualcosa che ben pochi psicologi evolutivi o ricercatori in campo educativo hanno fatto. Si era accostato e aveva osservato i figli di parenti e amici mentre erano intenti al gioco e all’esplorazione; aveva studiato, inoltre, i bambini a scuola durante gli intervalli fra le lezioni. Grazie a queste osservazioni, era giunto ad alcune conclusioni profonde sul loro modo di apprendere. Eccone un sommario, estratto direttamente dalle pagine di How Children Learn.

  • I bambini non scelgono di imparare per poter fare cose in futuro. Scelgono di fare adesso quello che altri fanno nel loro mondo, e attraverso l’agire imparano

Le scuole tentano di insegnare ai bambini abilità e conoscenze che potrebbero tornar loro utili in un qualche ignoto momento futuro. Ma i bambini sono interessati al presente, non al futuro. Vogliono fare cose vere adesso. Facendo ciò che desiderano si preparano anche in modo meraviglioso per il futuro, ma è un effetto secondario. È proprio questa l’intuizione più importante del libro; quasi tutte le altre idee rappresentano perlopiù dei corollari.

i bambini sono interessati al presente,
non al futuro

I bambini imparano a meraviglia perché non pensano a se stessi come persone che stanno imparando, bensì come persone che stanno agendo. Vogliono sentirsi coinvolti in attività significative e complete, come quelle che vedono svolgersi attorno a loro, e non hanno nessun timore di provare. Vogliono camminare, come fanno gli altri, ma al principio non sono bravi, allora continuano a provare, giorno dopo giorno, e migliorano sempre più. Vogliono parlare, come fanno gli altri, ma all’inizio non conoscono le relazioni dei suoni con i significati. Le loro frasi ci giungono come balbettii senza senso, ma nella sua mente il bambino crede di parlare (come suggerisce Holt a p.75). I miglioramenti avvengono perché il bambino assiste al parlare altrui e in modo graduale coglie alcuni dei suoni ripetuti e i loro significati, utilizzandoli con sempre maggiore appropriatezza nelle sue emissioni verbali.

I bambini imparano a meraviglia perché non pensano a se stessi come persone che stanno imparando, bensì come persone che stanno agendo.

Man mano che i bambini crescono, continuano ad assistere alle attività che si svolgono attorno a loro e, in modi e tempi imprevedibili, scelgono quelle che desiderano fare e iniziano a farle. Iniziano a leggere perché vedono gli altri leggere, e se qualcuno legge per loro scoprono che la lettura è un modo per aprirsi al piacere delle storie. Non diventano lettori imparando per prima cosa a leggere; iniziano fin da subito leggendo. Leggono, magari, i segni che riconoscono. Possono recitare, alla lettera, le parole di un libricino conosciuto a memoria mentre ne sfogliano le pagine, oppure voltano le pagine di un libro che non conoscono e dicono quello che passa loro per la mente. Non lo chiameremmo lettura, ma per il bambino lo è. Col tempo, il bambino inizia a riconoscere certe parole, anche in nuovi contesti, e inizia a dedurre le relazioni che legano le lettere e i suoni. In questo modo, la lettura migliora.

Camminare, parlare e leggere sono abilità che quasi tutti acquisiscono nella nostra cultura perché sono diffusissime. Altre abilità vengono acquisite in modo più selettivo da coloro che in qualche modo ne sono affascinati. Holt fa l’esempio di una bambina di sei anni che si era interessata alla dattilografia, con una macchina da scrivere elettrica (si era negli anni ’60). Batteva veloce a macchina, come gli adulti della sua famiglia, ma senza preoccuparsi del fatto che le lettere sul foglio erano battute a caso. Produceva interi documenti in questo modo. Col tempo, iniziò a rendersi conto che i suoi documenti differivano da quelli degli adulti in quanto non erano leggibili, e allora iniziò a prestare attenzione a quali tasti premeva e all’effetto che questo produceva sul foglio di carta. Iniziò a battere a macchina con molta attenzione anziché in fretta, e in breve tempo digitò frasi leggibili.

Il bambino già cammina sin dal suo primissimo passo, parla sin dal suo primo balbettìo

Voi ed io potremmo forse dire che il bambino sta imparando a camminare, parlare, leggere o battere a macchina, ma dal suo punto di vista questo sarebbe sbagliato. Il bambino già cammina sin dal suo primissimo passo, parla sin dal suo primo balbettìo, legge sin dal primo riconoscere lo “stop” su un cartello stradale e batte a macchina sin dal primo tasto premuto. Non impara a fare tutte queste cose, le fa e basta, sin dall’inizio, e nel farle migliora.

Di recente, la mia collega Kerry McDonald ha spiegato questo punto molto bene in un saggio sulla giovane figlia educata in casa che adora cucinare (qui). Citando le parole di Kerry: ”Quando le persone le chiedono cosa diventerà da grande, lei risponde spensierata: ‘una cuoca, ma già lo sono!”

  • I bambini quando imparano vanno dal tutto al particolare, non viceversa.

È chiaro che si tratti di un corollario all’idea che i bambini imparino perché sono motivati a fare le cose che vedono fare agli altri. È naturale che siano motivati a fare le cose per intero, non singole parti estrapolate dal tutto. Sono motivati a pronunciare frasi sensate, non fonemi. Nessuno parla per fonemi. Sono motivati a leggere storie interessanti, non a memorizzare relazioni grafema-fonema o ad esercitarsi nel riconoscimento di singole parole. Come Holt sottolinea più volte, uno degli errori più grandi che si commettono a scuola è quello di smembrare i compiti in diverse componenti e cercare di far esercitare i bambini sulle singole componenti anziché sull’intero. Così facendo, trasformiamo ciò che sarebbe significativo ed eccitante in qualcosa di noioso e privo di senso. I bambini colgono le varie componenti (per esempio la relazione grafema-fonema) in modo naturale e incidentale, mentre procedono con il lavoro interessante del fare cose che siano reali, piene di significato e complete.

  • I bambini imparano sbagliando e poi accorgendosi degli errori e correggendoli.

I bambini, non solo sono motivati a fare ciò che vedono fare agli altri, ma anche a farlo per bene. Non temono di affrontare ciò che ancora non sanno fare al meglio, ma non sono ciechi di fronte alla differenza di prestazione fra loro e gli esperti che li circondano. Perciò, iniziano da subito facendo, ma in seguito, con la ripetizione, lavorano sul miglioramento. Citando le parole di Holt (p.34): ”I bambini molto piccoli sembrano possedere ciò che potremmo definire un istinto al mestiere. Tendiamo a non accorgercene perché non sono abili e le loro produzioni sono rozze e abbozzate, tuttavia osserviamo la cura amorevole con cui un bambino piccolo liscia una torta di sabbia o modella e dà colpetti a un pasticcio di fango”. Poi, in una pagina successiva (p.198): ”Quando non sono minacciati o persuasi con ricompense, desiderano fare ciò che stanno facendo meglio della volta precedente.”

”Quando non sono minacciati o persuasi con ricompense, desiderano fare ciò che stanno facendo meglio della volta precedente.”

Noi adulti abbiamo la forte propensione a correggere i bambini, indicando loro gli errori, credendo in tal modo di aiutarli, ma quando lo facciamo, secondo Holt, in realtà li stiamo sminuendo, dicendo loro che non sanno far bene e che noi siamo più capaci. Li facciamo sentire giudicati, e pertanto ansiosi, privandoli in parte del coraggio necessario a tentare nuove attività. Rischiamo di indurre il bambino ad allontanarsi proprio da quell’attività che intendevamo sostenere. Quando all’inizio egli intraprende un’attività, non può preoccuparsi degli errori perché se così facesse sarebbe impossibile per lui iniziare. Solo lui sa quando è pronto per pensare agli errori e correggersi.

Holt fa notare che non è necessario correggere i bambini, perché sono molto bravi a correggere se stessi. Cercano senza sosta di migliorare tutto quello che fanno, con i loro tempi e a modo loro. A mo’ d’esempio, Holt descrive la sua osservazione di una bambina piccola che sbagliava la lettura di certe parole mentre leggeva una storia ad alta voce, ma poi correggeva i suoi stessi errori in una successiva rilettura, cercando di capire cosa avesse senso e cosa no (p. 140): “Se lasciata tranquilla, senza metterle fretta e senza renderla ansiosa, era in grado da sola di trovare e correggere la maggior parte degli errori.”

  • I bambini imparano meglio osservando i coetanei più grandi anziché gli adulti.

Holt fa notare come i bambini piccoli siano ben consapevoli dei modi in cui la loro competenza non è all’altezza di quella degli adulti che li circondano, il che può essere una fonte di ansia e vergogna, anche se gli adulti non infieriscono. Così scrive (p.123): ”I genitori che fanno tutto per bene potrebbero non essere sempre dei buoni esempi per i propri figli; talvolta questi figli sentono che, poiché non hanno alcuna speranza di poter essere bravi come i genitori, è inutile persino che tentino.” Questo è il motivo per cui, secondo Holt, è possibile che imparino meglio guardando altri bambini più grandi anziché gli adulti. Come esempio descrive (p.182) in che modo alcuni bambini avevano migliorato con naturalezza ed efficacia le loro abilità nel softball, osservando ragazzi più grandi e con più esperienza che erano senz’altro migliori ma non completamente al di fuori della loro portata. Questa osservazione combacia alla perfezione con i risultati e le scoperte della mia ricerca sul valore del gioco fra bambini e ragazzi di età diverse (leggete qui  e qui).

  • La fantasia fornisce ai bambini i mezzi per sperimentare e imparare da attività che ancora non
    possono compiere nella realtà.

Un certo numero di psicologi, me incluso, ha scritto sul valore cognitivo della fantasia, in che modo sia alla base delle più alte forme del pensiero umano, del ragionamento ipotetico (provate a leggere qui). Ma Holt ci fornisce un’altra intuizione su di essa: è un mezzo per “sperimentare” quello che il bambino non può fare nella realtà. Nella sua discussione sulla fantasia, Holt critica la visione, sostenuta da Maria Montessori e alcuni suoi seguaci, che la fantasia debba essere scoraggiata nei bambini perché è il segno di una fuga dalla realtà. Holt, di contro, scrive (p. 228): ”I bambini utilizzano la fantasia non per uscire, ma per entrare nel mondo reale.”

Un bambino piccolo non può guidare un camion per davvero, ma con la fantasia può diventare un camionista. Grazie ad una simile fantasia, può imparare molto sui camion, e persino qualcosa di ciò che significhi guidarne uno se con il suo camioncino imita quello che fanno i camion veri. Holt sottolinea il fatto che nei giochi di fantasia di solito i bambini scelgono ruoli che esistono nel mondo adulto che li circonda. Fanno finta di essere mamme o papà, camionisti, macchinisti del treno, piloti, dottori, maestri, poliziotti e simili. Nel gioco ripetono, con la maggiore accuratezza a loro possibile, ciò che hanno capito dell’agire adulto in quei ruoli. Ho imparato dagli antropologi che una simile fantasia è normale per i bambini ovunque nel mondo. Ad esempio, i giovani cacciatori-raccoglitori si immaginano coraggiosi cacciatori di grossa selvaggina mentre braccano farfalle o piccoli roditori con i loro piccoli archi. Sperimentano come ci si senta ad essere un cacciatore, e sviluppano nel mentre anche reali abilità utili alla caccia. Ed è molto più eccitante che non, per esempio, esercitarsi a colpire un bersaglio.

Il punto relativo alla fantasia è un’altra elaborazione del tema principale di Holt a proposito dell’apprendimento dei bambini realizzato facendo ciò che desiderano in quel preciso momento, non attraverso un esercizio rivolto al futuro. Con la fantasia il bambino può, proprio in quell’istante, fare cose che la natura o l’autorità non permettono di esperire nella realtà.

  • I bambini capiscono il mondo creando modelli mentali e assimilando nuove informazioni che arricchiscano quegli stessi modelli.

Mentre i bambini interagiscono con il mondo, le loro menti sono attive di continuo. Cercano di capire le cose. Holt fa notare, e non è il solo (anche Piaget, tra i più famosi, la pensava così), che i bambini sono dei veri scienziati, sviluppano impressioni (ipotesi) e poi le testano, accettandole, modificandole o rigettandole in base all’esperienza. Ma la motivazione deve provenire dal bambino, non può essere imposta. Come esempio, Holt descrive casi in cui bambini a cui, quando lo desideravano, era permesso anche solo gingillarsi con travi d’equilibrio e pendoli, avevano imparato di più e in modo più duraturo, sulle leggi naturali dell’equilibrio e sull’azione del pendolo, rispetto a coloro cui queste leggi erano state insegnate in
modo esplicito.

I bambini spesso utilizzano modelli mentali che hanno sviluppato da precedenti attività per aiutarsi a capire le attività nuove. Holt ne dà un meraviglioso esempio raccontando di un bambino che amava i treni e sapeva molte cose su di essi. Quando iniziò ad interessarsi alla lettura notò che una frase stampata è come un treno, con una testa e una coda, che va in una certa direzione. Chiamò la lettera maiuscola all’inizio il “motore” e il punto alla fine “carrozza- cambusa”. Il modello, naturalmente, era molto utile a questo bambino particolare e lo aiutò, fra le altre cose, a trasferire il suo amore per i treni anche alla lettura. Ma è un modello che era dovuto venire dal bambino stesso, se un maestro glielo avesse imposto è molto probabile che sarebbe stato percepito come artificiale e avrebbe soppiantato i suoi tentativi personali di dare un senso alle frasi. E se un maestro avesse cercato di utilizzare questa analogia fra la frase e il treno per insegnare a bambini che non avessero alcun particolare interesse nei treni, la cosa sarebbe risultata semplicemente sciocca.

I modi in cui l’insegnamento interferisce con l’apprendimento dei bambini

Quando Holt scrisse la prima edizione di How Children Learn (pubblicato nel 1967), stava ancora cercando di capire come diventare un insegnante migliore. Quando si occupò della revisione del testo per la seconda edizione (pubblicata nel 1983), inserì molte correzioni, rivelatrici della sua crescente convinzione che qualsiasi tipo di insegnamento sia di solito un errore, tranne in risposta a una esplicita
richiesta di aiuto da parte dello studente. Ecco, per esempio, una delle sue aggiunte del 1983 (p.112): “Quando insegniamo senza che ci venga richiesto stiamo in realtà dicendo: Non sei intelligente abbastanza da sapere che dovresti conoscere questa cosa, né abbastanza intelligente da impararla.” E poche pagine dopo (p.126) aveva aggiunto: ”Lo spirito di indipendenza nell’apprendimento è
una delle risorse più preziose che chi impara possa avere, e noi che vogliamo aiutare i bambini ad apprendere a casa o a scuola dobbiamo imparare a rispettarla e incoraggiarla.”

I bambini oppongono resistenza in modo naturale all’insegnamento perché mina la loro indipendenza e la
fiducia nelle proprie capacità di risolvere e comprendere le cose, nonché di chiedere aiuto da soli se dovessero averne bisogno. Inoltre, nessun insegnante – di certo non uno in una classe con più di una manciata di bambini – può entrare nella testa di ciascun alunno e capirne le motivazioni, i modelli mentali e le passioni del momento. Solo il bambino ha accesso a tutto questo, che è il motivo per cui impara meglio quando ha il controllo completo del proprio apprendimento. Oppure, come direbbero i bambini, quando hanno la possibilità di esercitare un controllo completo sul proprio agire.

Di Peter Grey. Ph.D, autore del libro Free to Learn (Basic Books, 2013)
Traduzione: Michela Orazzini
Articolo pubblicato originalmente sulla rubrica/blog “Freedom to Learn” di Psychology Today
Tradotto e Pubblicato col permesso dell’autore, Peter Grey, Ph.D.

Per altri informazioni su l’apprendimento auto-diretto leggete Free to Learn e il sito web Alliance for Self-Directed Education

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